Results matching “Chiara Lubich”

Ferruccio Pinotti è un giornalista che ha scritto diversi libri, tra i quali: La setta divina. Il Movimento dei Focolari fra misticismo, abusi e potere, Edizioni Piemme, 2021, uno dei suoi più recenti libri. Non ho ancora avuto modo di leggere il libro, ma ne ho letto delle sintesi su quei siti che vendono il libro e offrono la lettura di alcuni estratti prima di acquistarlo e mi pare un libro interessante.

Ho visto su Davvero TV una intervista allo scrittore in merito al suo libro. Ho visto anche altre recensioni sul libro in alcuni canali YouTube, per cui in questo post vorrei dire la mia sul Movimento dei Focolari e raccontare la mia esperienza, purtroppo molto sinteticamente..

Logo Genfest 1990Ho conosciuto il Movimento dei Focolari chiamato anche Opera di Maria nel 1990. Un mio amico, collega di università mi invitò ad un incontro a Roma, ad una festa chiamata Genfest. Inizialmente pensai ad una festa in qualche discoteca, incuriosito decisi di accettare l'invito. Allora non sapevo nulla del Movimento dei Focolari, tuttavia ebbi una impressione positiva di quel viaggio a Roma. Vidi tanti giovani provenienti da tutta Italia e da gran parte del mondo incontrarsi al Palaeur o Palazzetto dello Sport di Roma. Vidi giovani pieni di entusiasmo, sorridenti e felici condividere un ideale: il mondo unito. Vidi una donna minuta, già anzianotta fare certi discorsi sui problemi sociali, sulle guerre, sui muri ideologici, discorsi che mi colpirono positivamente, ma non sapevo che a parlare era Chiara Lubich che non conoscevo. Ad un certo punto vidi poi arrivare il papa, l'allora Giovanni Paolo 2° con la sua scorta di Polizia e carabinieri e mi chiesi tra me e me dove cavolo ero finito. Comunque anche il discorso del papa mi colpì positivamente. Lui disse, tra le tante cose: "La Chiesa vuole essere nel mondo un segno vivo dell’unità di tutto il genere umano e desidera ardentemente di “contribuire a costruire e a consolidare la comunità degli uomini secondo la legge divina”. Se per costruire un “mondo unito” si richiede il superamento delle divisioni, delle incomprensioni, delle diffidenze e delle intolleranze, allora appare in tutta la sua verità e necessità l’immagine dell’uomo di cui Cristo ha tracciato il programma nel Vangelo. Di tale immagine la Chiesa è testimone e garante. Ad essa si rivolge il suo servizio. Ascoltatela, perché nelle sue parole voi potrete cogliere l’eco dell’insegnamento di Cristo. Praticamente il papa disse che l'unità ruota intorno alla figura di Cristo.

Per me quell'incontro al Palaeur di Roma fu una esperienza positiva, per cui decisi di approfondire la conoscenza del Movimento dei Focolari e di Chiara Lubich. Restai in contatto con il mio amico, collega di università che mi introdusse nel mondo del Movimento dei Focolari.

Logo Genfest 1993 festa dei giovani aderenti Movimento dei FocolariQuello che mi è sempre piaciuto del Movimento è appunto l'ideale del mondo unito, questo amare tutta l'umanità, concorrere alla fratellanza universale, credere all'amore di Dio, vivere con Gesù fra noi, fare del Vangelo un codice di vita, riscoprire e amare la Chiesa come creatura di Cristo, superare le differenze di razza, generazioni, religioni diverse, per abbattere barriere e costruire l'unità dei popoli. Mi è sempre piaciuta questa promiscuità di religioni e razze diverse e questo essere laici impegnati nel mondo, questo fermarsi a mezzogiorno per un timeout di preghiera per la pace.

Un' altra cosa che mi è sempre piaciuta del Movimento è quella che per statuto il presidente del movimento deve essere una donna, non un uomo, ma una donna. Hai capito? Mentre la politica italiana non riesce neanche ad eleggere una donna alla presidenza della Repubblica italiana almeno una volta tanto, ma riesce solo ad ipotizzarla, il Movimento dei Focolari non si fa di questi problemi e ha una donna alla presidenza, per statuto e che oggi si chiama Margaret Karram.

Quello che invece non mi è mai piaciuto del Movimento è la separazione tra maschi e femmine: la mancanza di promiscuità sessuale: i maschi da una parte in focolari maschili e le femmine dall'altra in focolari femminili, quando io avrei preferito vedere anche focolari composti da maschi e femmine conviventi in promiscuità, perché ritengo che lo spirito femminile come lo spirito maschile si completano a vicenda.

Ebbi poi occasione di partecipare come Gen agli incontri che si tenevano in focolare maschile a Torino, purtroppo rigorosamente separati dalle femmine, incontri dove si leggeva la Parola di Vita scritta mensilmente da Chiara Lubich e la si commentava mettendo in comune le proprie esperienze di vita, incontri a mio avviso molto positivi, dove si faceva una profonda e costruttiva esperienza spirituale alla luce del Vangelo e che che non riscontravo in altre realtà ecclesiali o in parrocchia. Ho partecipato ai CH mensili, una sorta di collegamento telefonico dove Chiara Lubich chiamava al telefono le varie zone del mondo per aggiornarci sulla vita del movimento nei vari paesi, per dirla molto sinteticamente.

Logo Loppiano, primo MaggioPartecipai anche agli incontri di Gioventù Nuova, la branca giovanile del movimento, in locali messi a disposizione dalle parrocchie di Torino, dove meno male ci si ritrovava sia maschi che femmine e dove si organizzavano feste, raccolta fondi per i bisognosi e solidarietà varie, concerti in piazza o in parrocchie della zona, tante belle iniziative più sociali che spirituali volte a promuovere la cultura dell'unità tra i popoli nelle varie realtà giovanili come la scuola, la parrocchia, la famiglia. Ricordo che a Natale si andava a cantare sui sagrati delle chiese  o in via Roma a Torino, al freddo  e dove si cantavano i canti del Gen Rosso e del Gen Verde e dove si raccoglievano i fondi per sostenere iniziative di solidarietà, ma anche per pagare le spese di riscaldamento della parrocchia che ci ospitava. Tra i vari viaggi che si organizzavano c'era il viaggio a Loppiano il primo di Maggio, una cittadella laboratorio del Movimento dei Focolari dove gli abitanti, oltre a prepararsi alla vita in focolare, facevano esperienze di vita evangelica. Sono stato anche lì e ne ho avuto una impressione positiva. Ho partecipato a diverse Mariapoli, le città di Maria, una sorta di incontri-vacanze, o ritiri spirituali, dove si radunavano per alcuni giorni quanti volevano conoscere spirito e stile di vita dei Focolari, incoraggiando a vivere secondo la legge dell’amore evangelico.

Ho partecipato poi come aderente al Movimento ad alcuni incontri a Castelgandolfo dove si riuniscono aderenti provenienti dall'Italia e dal mondo intero in una sorta di ritiro spirituale di alcuni giorni per approfondire e condividere esperienze di vita evangelica, a volte anche umanamente molto toccanti e profonde.

Logo familyfestTra le varie feste organizzate dal movimento dei Focolari c'è anche quella destinata alle famiglie e chiamata Family Fest. Famiglie Nuove è un altro ramo di quella vasta pianta ramificata che è il Movimento dei Focolari.

Ho conosciuto diversi focolarini e ne ho sempre apprezzato le loro scelte e stili di vita e non mi sono mai accorto di problemi interni o di abusi da parte loro. Non sono un focolarino per cui non posso esprimere un giudizio sulla vita dei focolari. Tuttavia come aderente al Movimento dei Focolari da diversi anni posso dire che leggere il titolo del libro di Ferruccio Pinotti dove il Movimento dei Focolari viene etichettato come una setta mi dà un po' fastidio e non lo ritengo un termine appropriato per un movimento che vuole unire e non separare. Tuttavia se per "setta" si intende la definizione che dà il vocabolario Treccani: "Associazione di persone che seguono e difendono una particolare dottrina filosofica, religiosa o politica", allora possiamo definire setta qualsiasi partito politico o associazione ecclesiale o culturale, comprese tutte le chiese del mondo. Sono dell'idea che là dove ci sono abusi di qualsiasi genere, non solo sessuali, ma anche psicologici e plagi, questi vadano denunciati e i responsabili rimossi. Per cui dico ben vengano i libri come quelli di Ferruccio Pinotti che raccolgono testimonianze fuori dal coro e mettono a nudo realtà scomode.

Chiara Lubich, smiling, surrounded by other sm...

Chiara Lubich, smiling, surrounded by other smiling people (Photo credit: Wikipedia)

"La fraternità come proposta politica" è stato il tema dell'incontro che si è tenuto Il 1° luglio 2012 a Torino al teatro Alfieri per festeggiare il decimo anniversario del conferimento della cittadinanza onoraria di Torino a Chiara Lubich, la fondatrice dell'Opera di Maria.

Il ministro della salute Renato Balduzzi ha fatto pervenire i suoi saluti e nel suo messaggio letto dalla relatrice ha detto che: "La fraternità è una espressione del mondo solidale e concreta in cui ci si fa carico delle sofferenze delle singole persone e al contempo ci si impegna a tutelarne e ad accrescerne i diritti nella coscienza che è possibile agire per il bene di ognuno avendo come orizzonte l'umanità intera... ".

Anche il Ministro del lavoro Elsa Fornero ha fatto pervenire i suoi saluti e nel suo messaggio ha sottolineato l'importanza dell'impostazione economica basata sulla fraternità e sulla solidarietà. Secondo Elsa Fornero l'uscita dalla crisi in cui ci troviamo "non può avvenire soltanto dalle leggi, dalle facilitazioni, dai sussidi, tutti necessari ma non sufficienti, ma viene dall'impegno personale, dalla fatica quotidiana, dal fare qualcosa in più, viene dal rimescolare le carte, dall'innovare le condizioni, dall'agire in base a principi di fraternità e solidarietà".

Cantieri di fraternità. La parola è stata poi passata ad uno degli ospiti, il sindaco del Comune di Montecosaro (Macerata) nelle Marche: Stefano Cardinali che è anche vicepresidente dell'associazione Città per la Fraternità nata nel 2007 a Rocca di Papa, a cui aderiscono oltre centocinquanta Comuni italiani tra cui il Comune di Torino. L'obiettivo dell'associazione è quello di diffondere nella vita politica il principio della fraternità partendo dagli enti locali come metodo concreto per l'affermazione del bene comune.

Video del conferimento della cittadinanza onoraria di Torino a Chiara Lubich nel 2 giugno 2002


"Farsi santi attraverso la politica" è la sintesi del messaggio di Chiara Lubich.

Chi segue questo sito già sa cosa ne penso della politica e non sto qui a ripeterlo, ma rimando ad un mio precedente post in merito: politica molto ma non tutto.

La finalità della fraternità in politica, come ben evidenziato anche da Stefano Cardinali, dovrebbe essere quello del bene comune che pone l'uomo al centro guardando prima di tutto la persona, i suoi diritti e i suoi bisogni.

Io mi chiedo come concretizzare i principi di fraternità in questi giorni che vedono impegnati molti cittadini a ricalcolare la tassa IMU con le nuove aliquote aggiornate e deliberate dai Comuni, facendo perdere loro un sacco di tempo a controllare e ricalcolare valori che alla fine si traducono, come nel mio caso, solo in fonte di nervosismo, ritrovandomi vessato da normative a mio avviso assurde e inique, frutto di menti politiche malate e insensibili ai bisogni dell'uomo.

Dal mio punto di vista, la fraternità in politica è un obiettivo positivo, ma ha poco senso intendendo la politica come l'arte di amministrare lo Stato o una città. Ho già spiegato che la fraternità in politica, secondo me, oggi come oggi non ha alcun senso, se non quello di prendersi in giro, perché la politica è la scienza di governare e, governare significa esercitare un potere nell'ambito di uno Stato o di una città sui cittadini sottomessi al potere e, quindi, servi del potere, altrimenti che potere sarebbe? Siccome fraternità, come vedremo, significa anche amicizia e l'amicizia non prevede un rapporto servile tra amici (non vi chiamo più servi, ma amici), io mi chiedo come possa la politica e quindi il potere di governo muoversi nell'ambito dell'amicizia. Per concretizzare: quando mai un amico ti ha chiesto il pagamento di una tassa per essere tuo amico? Già, perché se vuoi che io sia tuo amico, pagami l'IMU. Che amicizia sarebbe?

Ben venga la fraternità come proposta politica, ma a quel punto occorre prima eliminare i tre poteri dello Stato: legislativo, esecutivo, giudiziario, poteri legati in gran parte alla tutela delle varie forme di proprietà privata più che della persona, altrimenti ci prendiamo solo in giro, dal mio punto di vista.

Avrebbe più senso parlare di fraternità nella vita sociale, ma non in politica. Va detto, tuttavia, che fraternità cozza pure con famiglia oltre che con politica, perché fraternità secondo la definizione dello Zingarelli significa: "Affetto fraterno, accordo profondo tra persone non legate da vincoli di parentela. Sin. amicizia". E' chiaro che questa definizione fa a pugni con il concetto di famiglia dove l'affetto fraterno e l'accordo profondo tra persone è invece legato da vincoli di parentela. Allora come la mettiamo quando la famiglia è il perno principale su cui ruota la nostra società e le proposte politiche tendono a riconoscere e a tutelare solo la famiglia nata nell'ambito del matrimonio, cioè i vincoli di parentela, trascurando altre forme di "fraternità" ?

Chiudo riportando alcuni pensieri della sociologa Chiara Saraceno, altro ospite intervenuto all'incontro e che giustamente preferisce parlare di fratellanza. Le riflessioni di Chiara Saraceno mi sono sembrate le più stimolanti di tutte quelle che ho ascoltato durante l'incontro. Lei mette insieme giustamente il tema della fratellanza con il contratto sociale della giustizia. Secondo lei, la triade libertà, uguaglianza e fratellanza devono stare necessariamente insieme integrandosi a vicenda soprattutto nella verifica dei propri limiti. "La fraternità individua la comunità di coloro con cui ci si sente fratelli e definisce i confini sociali, territoriali entro cui ci si pensa liberi e uguali. Oggi il concetto di fratellanza e di solidarietà dove si definiscono i limiti del contratto sociale e i principi di solidarietà sulla base di una appartenenza comune che sta alla base del concetto di cittadinanza che legittima il welfare e i diritti sociali è fortemente vincolato all'interno dei confini nazionali, di quelli regionali e di quelli municipali".

Secondo Chiara Saraceno in nessun caso possono essere fatte valere come buone ragioni e interessi che ledono gravemente la libertà di essere e fare di qualcun altro ponendolo in situazioni gravemente asimmetriche rispetto alle possibilità di negoziazione e alle forme stesse di riconoscimento. "Non vi è nessuna buona ragione o interesse da difendere che possa legittimare l'esclusione delle donne dalla partecipazione ai processi decisionali. Non vi  è nessuna buona ragione per non riconoscere il diritto delle persone omosessuali a formare una coppia e a chiederne il riconoscimento sociale e giuridico se lo desiderano. Nessuna origine di nascita dovrebbe trasformarsi in un destino immodificabile".

Fratellanza, secondo Chiara Saraceno, dovrebbe significare: "fare in modo di evitare che le disuguaglianze e un accesso troppo limitato alle risorse vincoli in modo grave lo sviluppo delle capacità e intacchi le radici stesse dello stare al mondo come essere umani ledendo contemporaneamente tutte e tre le dimensioni che stanno alla base della concezione di cittadinanza: la fratellanza, l'uguaglianza, la libertà. Il compito della politica e dell'azione collettiva è appunto fornire le risorse perché gli individui possano sviluppare appieno queste capacità e metterle in atto a partire dall'infanzia e lungo tutto il corso della vita".

Chiara Saraceno conclude dicendo che le comunità di appartenenza, i soggetti e i movimenti collettivi, le fratellanze in cui ci riconosciamo sono importanti in quanto "strumenti di capacitazione" abilitanti le capacità individuali come mezzi spesso indispensabili piuttosto che come fini. "Non possono, non potrebbero e non dovrebbero arrogarsi il diritto di parlare in nome degli individui e della loro libertà. E' una questione che riguarda innanzitutto le comunità etniche e religiose nella misura in cui rivendicano diritti comunitari piuttosto che individuali in nome della comunità e della fratellanza e che pretendono il sacrificio delle libertà individuali a priori, ma riguarda anche i regimi che in nome di una qualunque rivoluzione di unità nazionale sopprimono la libertà dei loro cittadini, ma riguarda anche i partiti e i sindacati nella misura in cui facciano prevalere la lealtà di gruppo a prescindere dalla libera discussione e dal confronto di interessi e punti di vista diversi e anche in conflitto. Riguarda, più in generale, tutte quelle concezioni in cui la comunità e i suoi legami, a partire dalla famiglia, vengono considerati prevalenti rispetto agli individui".

Enhanced by Zemanta

"Vigila chi ama" è il titolo della "Parola di vita" di Chiara Lubich di questo mese Novembre 2011 e fa riferimento al versetto di Matteo 25,13: "Vegliate, dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora" e pubblicata su Città Nuova del 25/10/2011, il quindicinale periodico del Movimento dei Focolari.

Il contesto di quel versetto dove Gesù invita a vegliare segue e conclude la parabola delle "dieci vergini". Colgo l'occasione per aprire una riflessione in merito. Rileggiamo la parabola:

Il regno dei cieli è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le lampade, ma non presero con sé olio; le sagge invece, insieme alle lampade, presero anche dell'olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e dormirono. A mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo, andategli incontro! Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. E le stolte dissero alle sagge: Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono. Ma le sagge risposero: No, che non abbia a mancare per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene. Ora, mentre quelle andavano per comprare l'olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: Signore, signore, aprici! Ma egli rispose: In verità vi dico: non vi conosco. Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora.

Qual è il significato di questa parabola? Cosa rappresentano le dieci vergini? Innanzi tutto c'è da rilevare una sorta di scandalo: lo sposo è poligamo se pensa di sposare 10 vergini in un colpo solo. Alla faccia del matrimonio monogamico, qui ci troviamo di fronte ad uno sposo che attende ben dieci vergini in matrimonio.

Per fortuna che si tratta solo di una parabola, altrimenti questo Gesù finisce per mandare all'aria anche il matrimonio monogamico. E' chiaro che il riferimento alle dieci vergini nasconde qualcosa che va decifrato.

Qui, Gesù invita a vegliare. Cosa significa "vegliare"? Significa stare svegli e non dormire. E' soprattutto di notte che si viene chiamati a vegliare. Perché proprio di notte? Perché di notte è buio e non c'è luce. Sappiamo che Gesù è la luce del mondo. Quindi, quando Gesù invita a vigilare di notte, in particolare a mezzanotte dove è notte fonda, fa riferimento ad un periodo temporale e ad uno stato fisico in cui è buio, non c'è ancora la sua luce. La luce del mondo deve ancora venire e si vive nell'oscurità delle tenebre.

Le dieci vergini della parabola purtroppo si assopirono tutte invece di vegliare, ma a mezzanotte si sente un grido che annuncia la venuta dello sposo e le vergini si svegliano. Siamo in piena notte. Perché le vergini sono dieci e non dodici come le tribù di Israele? Perché molto probabilmente le dieci vergini, secondo me, fanno riferimento alle dieci tribù di Israele rimaste e sparse per tutto il mondo (vedi https://it.wikipedia.org/wiki/Dodici_tri%C3%B9_di_Israele : " Sebbene il popolo d'Israele riconosciuto tale sia composto da esponenti di tutte le tribù, comunque in modo sparso, con l'avvento dell'era messianica, soprattutto grazie al Messia, l'interezza del popolo verrà restaurata con il ritorno delle 10 tribù rimaste disperse per tutto il mondo. Anche oggi sono molti i Rabbini impegnati nel ritorno degli ebrei ma il riconoscimento della tribù d'appartenenza di ciascuno è prerogativa particolare del Messia.").

L'invito a vegliare è rivolto quindi al popolo di Israele, alle dieci tribù che attendevano il Messia che tardava. Per cui, con questa parabola rivolta al popolo di Israele, Gesù intende sottolineare lo stato di attesa messianica in cui viveva Israele in quei tempi, il cui popolo (le dieci tribù rimaste), assopendosi di notte, non poteva riconoscere in Gesù il Messia, lo sposo che veniva.

Il grido che si sente: "ecco lo sposo, andategli incontro" rappresenta la venuta del Messia al quale tutto il popolo di Israele dovrebbe andare incontro. Purtroppo il popolo si divide a metà tra le cinque vergini sagge, cioè tra quella parte di popolo che sa essere saggio e previdente facendo tesoro dell'insegnamento dei profeti, per cui si è munito di sufficiente olio (L'olio rappresenta il frutto dell'insegnamento dei profeti di Israele), e tra le cinque vergini stolte, cioè quella parte di popolo che invece è stata superficiale e non ha pensato a procurarsi abbastanza olio per tenere accese le lampade della luce di Dio che illuminano il cammino spirituale che conduce allo sposo. Per cui quel popolo poco previdente che non ha saputo fare tesoro dell'insegnamento dei profeti deve correre a comprare altro olio, distraendosi dal proprio cammino spirituale, rimanendo indietro, perdendo l'occasione di unirsi allo sposo che nel frattempo è arrivato e ha chiuso la porta. Quella parte di popolo che non ha saputo incontrare e riconoscere il Messia resta fuori e, per quanto insista affinché le porte gli siano aperte, lo sposo risponde: "non vi conosco".

Come parte del popolo non ha saputo riconoscere il Messia che viene, così nemmeno il Messia potrà riconoscere chi non ha saputo riconoscerlo. Affinché le porte siano aperte, occorre prima vigilare e riconoscere lo sposo che ci viene incontro andandogli incontro nell'oscurità a nostra volta, tenendo accesa la lampada della luce di Dio che illumina il nostro cammino spirituale alimentata dall'insegnamento dei profeti, affinché anche il Messia possa riconoscerci illuminandoci della sua luce e aprirci la porta.

Amare fino alla fine

In questo post voglio fare una riflessione sulla bella Parola di Vita di questo mese, di Chiara Lubich: "Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine". Ho riflettuto su quella Parola di Vita di Agosto cercando di capire cosa volesse dire l'evangelista Giovanni con "amare fino alla fine". Secondo me è importante capire il significato della parola greca "telos" tradotta comunemente con "fine". Secondo la mia sensibilità spirituale "amare fino alla fine" GV.13,1 significa amare fino al raggiungimento dello scopo ultimo, fino alla meta (telos), secondo il significato greco di "telos". La meta, lo scopo di Gesù è la nostra salvezza che è anche lo scopo ultimo di Dio che manda Gesù per salvarci.

Gesù ama i suoi discepoli fino alla loro salvezza e conseguente risurrezione. La meta ultima dell'amore di Gesù è quindi la nostra salvezza e, per la nostra salvezza, Gesù ci ama offrendo la sua vita.

Quindi "amare fino alla fine" va oltre e non si ferma ad amare fino alla fine della sua vita, fino all'ultimo respiro, come riportato nella Parola di Vita, perché Dio non vuole che con la morte cessi l'amore, ma vuole la salvezza di tutti gli uomini nell'amore. Gesù, che poi è Dio incarnato, non ha smesso di amarci con la sua morte, ma è risorto e continua ad amarci da risorto attraverso la Chiesa, lo Spirito Santo e coloro che lo incarnano, affinché ogni uomo, credendo in Lui, possa salvarsi nell'amore.

La frase "I martiri andavano alla morte cantando", detta così, non ha tanto senso, secondo me. Non è nello stile del cristiano cantare davanti alla morte, perché Gesù non è andato verso la morte cantando, ma soffrendo e sudando sangue. Di fronte alla morte propria e dei propri cari c'è poco da cantare, perché la morte è la negazione della vita, della salvezza, della gioia e del reciproco amore. Solo la pace della risurrezione nell'amore ci spinge a pregare cantando al Signore chiedendogli con insistenza la venuta del suo regno, il compimento della sua volontà, la santificazione del suo nome.

La frase: "E il premio sarà la più grande gloria, perché Gesù ha detto che nessuno al mondo ha più grande amore di colui che versa il suo sangue per i suoi amici", secondo me è psicologicamente pericolosa perché abbina un premio ad un sacrificio di morte, come avviene con lo "Shahid" islamico dove si promette in premio il Paradiso in cambio di una testimonianza di fede fino alla morte.

Gesù invece vuole la nostra salvezza fin da ora e, per la nostra salvezza, ha dato la sua vita. Lui non vuole i nostri sacrifici, il nostro sangue, il nostro martirio, la nostra morte, ma vuole la nostra gioia nella vita di tutti i giorni, più che nella gloria. Noi possiamo essergli riconoscenti e valorizzare il suo sacrificio ascoltando e mettendo in pratica le sue parole, cioè amandoci. L'amore reciproco non chiede sacrifici, non ha premi a cui ambire o da scambiare, ma gode della gioia e del bene donato gratuitamente alla persona o alle persone amate.

Vegliate, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà" Mt. 24,42.
Questo passo del Vangelo di Matteo è oggetto della Parola di Vita di questo mese, Aprile 2009, e mi capita a fagiolo in occasione del terremoto di questa mattina in Abruzzo. La Parola di Vita viene stampata di mese in mese dal Movimento dei Focolari, chiamato anche "Opera di Maria".

"Vegliate. State attenti. State svegli. Perché di molte cose non sei sicuro al mondo, ma di una certamente non puoi aver dubbi: che un giorno devi morire." Così Chiara Lubich scriveva a commento di quel passo del Vangelo nel dicembre del 1978.

Non è sempre facile prevedere un evento sismico, una catastrofe naturale o semplicemente il giorno della nostra morte o di quella dei nostri cari. Per questo siamo chiamati da Gesù a vigilare, per non essere colti di sorpresa e impreparati.

La morte è un evento tragico che ci può cogliere impreparati se non ci abituiamo a morire giorno dopo giorno dando la vita per il bene del prossimo. Dare la vita mettendo a disposizione del fratello e di chi si trova nel bisogno, il nostro talento, le nostre risorse per condividerle e gioirne insieme.

"E' bello morire, papà, si va a stare insieme a Gesù" si legge nella parte finale di quella Parola di Vita. Sì, quando doni la tua vita e muori a te stesso, nel senso che fai morire l'uomo vecchio ed egoista che sta dentro di te, per risorgere a nuova vita, in questa vita come uomo nuovo, mettendo in comune i tuoi talenti nella gioia e nella libertà, allora vai a stare insieme a Gesù, vai a dimorare in Dio.

Ma non è bello morire per finire in una tomba, non è bello morire in un incidente stradale, in un terremoto, impreparati ad accogliere Cristo che viene. Gesù, di fronte alla morte di Lazzaro, si rattrista e piange insieme a Maria. Anche di fronte alla propria morte, Gesù si rattrista e non gioisce, suda, ha paura e chiede al Padre di allontanargli quel calice di dolore, segno evidente che per Gesù non è bello morire. Ma tuttavia Gesù (che, non dimentichiamolo, è Dio incarnato) accetta la morte per darci la vita, la vera vita, per il nostro bene. E in virtù del suo sacrificio, per non rendere vano il sacrificio di Gesù, di Dio stesso, noi cristiani, nei limiti del possibile, siamo tenuti a valorizzare e tutelare la nostra vita e quella di chi ci sta attorno, compresa quella di chi ancora deve venire al mondo, in tutte le sue forme, anche in quelle meno belle e a promuoverla allontanando tutto quello che la può minacciare, vegliando.

Quand'ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l'ho abbandonato. (Prima lettera di Paolo ai Corinzi, cap 13,11).
Cosi inizia il libro di Piergiorgio Odifreddi "Perché non possiamo essere cristiani", una dedica ai giovani, un invito dello scrittore ad essere uomini adulti, sulla scia dell'insegnamento di Paolo di Tarso.

Paolo non è Gesù. Gesù invitava a farsi bambini, Paolo invece si fa uomo, si fa adulto per abbandonare il modo semplice e ingenuo di pensare e ragionare dei bambini.
Ma Gesù è di tutt'altro avviso.

Vediamo:

Matteo 18,2-3: Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: "In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli."
Matteo 18,4: "Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli.
Matteo 18,5: E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me."
Matteo 19,14: Gesù però disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, perché di questi è il regno dei cieli".
Marco 9,37: "Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato".
Marco 10,14: "Gesù, al vedere questo, s'indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio."
Marco 10,15: In verità vi dico: Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso».
Luca 18,16: "Allora Gesù li fece venire avanti e disse: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio."
Luca 18,17: In verità vi dico: Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non vi entrerà".

Paolo invece pare insistere nel contraddire Gesù:
1Corinzi 14,20. Fratelli, non comportatevi da bambini nei giudizi; siate come bambini quanto a malizia, ma uomini maturi quanto ai giudizi.

Malgrado la grandezza spirituale di Paolo, Gesù ci invita a farci bambini per poter entrare nel regno di Dio. E' importante comprendere questo insegnamento. Già Chiara Lubich, basandosi sulla spiritualità di Gesù, aveva deciso di chiamare i focolarini: popi che in dialetto trentino significa bambini.

I bambini pensano sempre a giocare e per loro il mondo è sempre bello, anche quando piove, basta giocare. I bambini piangono quando gli si nega qualcosa a cui ci tengono. I bambini non hanno il senso della responsabilità e si fidano ciecamente di chi si prende cura di loro. I bambini sono possessivi, ma sanno mettere tutto in comune quando si tratta di giocare.

Il guaio siamo noi quando diventiamo adulti, perché perdiamo l'innocenza e l'ingenuità e ci facciamo maliziosi nei confronti di tutti, condizionando i bambini che ci osservano. Da adulti pratichiamo e legalizziamo l'aborto impedendo ai bambini, cioè a Dio di venire a noi, perché, secondo Gesù, chi accoglie un bambino accoglie Gesù, cioè Dio.

I bambini fanno ooh!